La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
TU CHIAMALE SE VUOI, PATRIMONIALI.
20/Marzo/2019
Politica Economica

La parola "patrimoniale", utilizzata spesso a sproposito nel vocabolario politico, desta da sempre sentimenti opposti nell'elettorato: da una parte, sobilla la voglia di giustizialismo sommario, mirando spesso diritto (più nelle intenzioni che nei fatti) verso i grandi possessori di beni mobiliari ed immobiliari; dall'altra, intimorisce e sfiducia i soggetti potenzialmente colpiti, i quali si affrettano a "slamare" i propri patrimoni dalla rete del fisco, impattando sull'economia reale  (fuga di capitali, calo degli investimenti etc.), con un peso certamente non indifferente.

Al di là del potere taumaturgico di questa parola, e dell'uso che a volte se ne fa, come cortina fumogena, le patrimoniali italiane hanno in realtà sempre colpito la maggior parte dei cittadini, e non solo la presunta elitè che viene puntualmente presentata come il trofeo di caccia da riportare a casa.

In Italia, fra il 1990 ed il 2017, si sono succedute ben 14 patrimoniali, molte delle quali sono ancora in vigore. La buona notizia è che, dopo aver raggiunto  l'apice nel 2014, con un gettito pari al 3% sul PIl,  oggi il  peso è diminuito, scendendo fino al 2,7%.

Per qualunque cosa si possegga, la mano dello Stato si allunga a richiedere oboli più che sostanziosi, almeno stando alle cifre riportate dall'Ufficio Studi Cgia di Mestre sui dati Istat e del MEF, che quantificano in 45.7 miliardi di euro il frutto di tasse sul patrimonio.

La voce principale riguarda IMU e TASI, quindi i possessori di immobili, con distinzioni regionali e parametri discutibili, che portano all'Erario 21.8 miliardi di euro annui. C'è poi il bollo auto, sempre in via di abolizione, che assicura, oggi, 6.7 miliardi di euro. Seguono le imposte di bollo sulle attività finanziarie (6.2 miliardi), il registro (5.2 miliardi), e poi il canone Rai, di ben 2 miliardi di euro annui, da saldare anche nel caso in cui non siate possessori di una televisione, ma utenti internet attivi, l'imposta ipotecaria da 1.7 miliardi e le tasse di successione e donazioni, pari  a 815 milioni di euro.

 Aggiungiamo l'IVA, le accise su benzina, tabacchi, gioco d'azzardo: lo Stato incassa, da queste tassazioni, cifre enormi, superiori ai 500 miliardi di euro; per inciso, nonostante questo, il debito pubblico continua a salire, ed è ormai arrivato a 2.358 miliardi di euro, in aumento di 72 miliardi rispetto a gennaio 2018.

Quest'ultima situazione, che ci pone tra i Paesi più indebitati al mondo, spinge gli osservatori europei a enfatizzare come l'Italia abbia un enorme patrimonio immobiliare detenuto da privati che, sommato a quello finanziario, si avvicina ai dieci mila miliardi di euro.

Se il patrimonio esiste, è frutto del lavoro della nostra gente. Colpirlo continuamente, ovvero minacciare di farlo, non fa altro che produrre insicurezze e ricerca, in un mondo globalizzato, di soluzioni fuori dal nostro Paese.

Più che pensare alla patrimoniale, che non ha mai portato bene a chi l'ha applicata, cerchiamo di ridurre le spese improduttive, rendendo il Paese efficiente (snellimento burocrazia, infrastrutture etc.), per arrivare ad un equilibrio di conti, senza cercare pericolose scorciatoie. 

Le opinioni espresse nelle news sono a cura della direzione e non coinvolgono assolutamente i membri del comitato scientifico di Tempo Finanziario.