La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Quando le regole non regolano ma impongono.
04/Gennaio/2019
Politica Economica

L'attualità della polemica attorno al piano di bilancio francese e quello italiano - in una battaglia tra numeri e virgole che è diventata centrale nel dibattito politico europeo - ci spinge a fare un po' di storia attorno a cifre che diventano sempre più familiari: la soglia del 3% del deficit e il 60% del debito pubblico rispetto al PIl.

Il Patto di Stabilità e Crescitafu scritto poco prima dell'ingresso della moneta unica, alla fine degli anni 90. I suoi cardini sono riassumibili nelle famose suddette cifre.

Sulla carta sembra sempre tutto facile, bello, semplice, lineare, ma, dati alla mano, nel 2016, fra i Paesi dell'Unione Europea che presentavano i loro bilanci, ben 16 nazioni dimostravano ancora un indebitamento superiore alla soglia concordata. Le cause erano molteplici, anche se sono le stesse per le quali ancora oggi assistiamo ad un'Unione Europa a più velocità: la difficoltà di ammortizzare la lunga scia della crisi iniziata nel 2008, ed economie, contesti sociali, capacità, necessità e caratterizzazioni differenti.

Prima del 2016, il "Patto" aveva già subito molte revisioni. La più importante resta quella del 2003, quando Francia e Germania rischiarono pesanti sanzioni per le politiche economiche espansive intraprese, che li avrebbero portati pesantemente fuori dai parametri concordati. In quel caso, con una rigidità europea ancora in fase adolescenziale per quel che riguardava le regole di bilancio, i due Paesi furono salvati da gravi sanzioni, grazie all'aiuto, in extremis,  dell'Italia, guidata allora da Silvio Berlusconi.

Fra il 2010 e il 2012, con la necessità di non svilire il Patto di Stabilità e Crescita - ed in vista del pareggio di bilancio, ora fortemente voluto da Francia e Germania – ci fu reso il favore di quel salvataggio, presentandoci prima il six pack, avallato da Silvio Berlusconi,  e quindi il fiscal compact, sottoscritto dal Governo Monti.

Firmate tutte le carte, l'Italia si  autocondannava in tal modo ad una impossibile riduzione della spesa, su queste basi: un ventesimo, ogni anno, del debito pubblico - quando e se superiore al 60% -e l'obbligo di fare qualsiasi mossa necessaria (tagli alla sanità, alla cultura, nuove imposizioni fiscali) in vista del pareggio di bilancio.

Appena qualche anno dopo, nel 2016 appunto, ci si accorge che la crisi non è ancora rientrata, e l'Italia, come altri Paesi, non è capace di mantenere gli impegni presi, almeno sul lungo periodo.

L'Europa riscrive le regole, trasformandole in una serie di linee guida per i Paesi firmatari, con la nota "flessibilità del bilancio", ancora oggi discussa, criticata, violata.

Essa  pone i Paesi con capacità economiche differenti, sotto lo stesso tetto di regole, generando sperequazione, tensioni sociali e crescenti antipatie verso l'Europa, sotto l'incalzare dei sovranisti di turno.

 

Le opinioni espresse nelle news sono a cura della direzione e non coinvolgono assolutamente i membri del comitato scientifico di Tempo Finanziario.