La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Trump e i dazi che possono mettere in crisi l'automotive europeo.
27/Febbraio/2019
Attualità economiche sociali

di Lorenzo Guidantoni

Nel quadro di una crisi generale, ormai in piena accelerazione e da tenere da conto, bisogna prestare particolare attenzione all'export, in particolare alle dinamiche che coinvolgono il settore auto.

L'Italia dell'automotive, dopo aver salutato anchela gloriosa società Magneti Marelli, passata ai giapponesi,rischia di soffrire le conseguenze dell'aumento dei dazi sui veicoli europei, prospettato da Donald Trump.

Il peso dell'automotive nell'economia italiana è particolarmente dato dall'export della componentisticaverso i paesi dell'Unione Europeache vale, in cifre, 13,7 miliardi di Euro e pesa il 69% di tutto l'export componenti.

Secondo il rapporto ANFIA 2017, la filiera italiana impiega 253 mila addetti (di cui il 60% diretti e i restanti indiretti), costituendo nel complesso il 7% degli occupati dell'industria manifatturiera. Tenendo conto delle attività produttive sia dirette che indirette, il fatturato del settore dell'autoveicolo risulta pari al 10.5% del fatturato complessivo dell'industria manifatturiera e al 5.6% del PILa prezzi correnti.Resta comunque una dato basso: l'occupazione relativa a questo settore ci pone in quinta posizione dietro a Germania, Francia, Polonia e Romania.

A livello globale, il Presidente Trump rischia di preparare un vero tsunami in questo settore, potendo imporre, entro 90 giorni, un aumento dei dazi, passando dal 2,5% attuale, fino al 25%. 

Le motivazioni di tale scelta sono da rimandare non solo alla politica protezionistica che ha reso celebre Trump, ma anche alla normale risposta di chi vede una delle più grandi aziende del suo Paese, la General Motors, già aiutata in passato a superare i suoi momenti più difficili, chiudere sette impianti, mandando a casa 140.000 lavoratori.

L'auto è il settore trainante dell'economia tedesca. La Germania, da sola, occupa il 20% del mercato mondiale e, quest'anno, mira a segnare il record di 17 milioni di vetture prodotte nel mondo, contro i 16,5 milioni del 2018. Dopo il dieselgate, il momentaneo crollo dell'export verso la Cina, le conseguenze di un probabile aumento dei dazi Usa sarebbero davvero importanti.

I grandi marchi hanno già iniziato ad accusare il virtuale colpo sui mercati azionari : in un solo anno, a Francoforte, Bmw ha perso il 20%, Daimler il 30% e Volkswagen circa l'11%.Nel quadro peggiore, l'aumento prospettato al 25% imporrebbe ai tedeschi di affacciarsi sul mercato automobilistico USA con una maggiorazione fino a 6.000 dollari per veicolo, rendendo indubbiamente poco appetibile il prodotto.

Nonostante le grandi industrie tedesche abbiano aperto 330 stabilimenti automobilistici negli Usa, dando lavoro a 118 mila persone, e ben al di là degli escamotage politico finanziari che porteranno BMW ad aumentare esponenzialmente la produzione nello stabilimento del South Carolina - cosa che, comunque, Audi e Porsche non potranno fare perché ivi sprovviste di stabilimenti-  la Germania è pronta a rispondere  anche in sede diplomatica. 

Sulla base di una singola scelta in ambito economico da parte degli Usa, si innescano, in tutto il mondo, diverse reazioni di tipo economico, sociale ma anche politico.

A livello economico, l'Europa rischia di subire una pesante revisione nelle proprie prospettive di crescita. La filiera tedesca dell'automotive, seppur quasi autarchica, crea un indotto importante per molti Paesi europei, Italia compresa, soprattutto nel settore della componentistica e della rivendita.

Alle frenate dell'economia, come al solito, corrisponderebbero ricadute socialiquali la probabile chiusura di alcuni centri di produzione e vendita, l'ombra ella  cassaintegrazione e l'aumento dei licenziamenti nell'automotive e nei settori ad esso collegati.

Sul piano politicole dinamiche sembrano essere meno certe. La Germania è il paese più direttamente interessato da una scelta che rischia di imporle, nel lungo periodo, una revisione della politica economica. Per la Merkel, richiamare l'unità dell'Europa può essere un'arma a doppio taglio: potrebbe ottenere uno scarso appoggio, soprattutto dopo le elezioni europee, oppure essere costretta a nuove trattative, in cui dovrà rendersi più morbida e accomodante con molti Paesi solo marginalmente toccati dal problema.

FCA non è più l'industria tricolore di un tempo:Marchionne l'ha resa una multinazionale fra le più grandi al mondo, con sede a Londra, cervello negli Usa e il cuore, solo la parte più romantica, ancora in Italia. Paradossalmente, l'Italia potrebbe anche godere dell'eventuale scelta di Trump, con ricadute sugli stabilimenti italiani, la cui sopravvivenza, soprattutto dopo la morte di Marchionne,  è ancora più connessa alle fortune internazionali del Gruppo, ma, dall'altra parte, deve fare i conti con i dati relativi alla componentistica sopra citati, che occupano ancora un buon numero di persone e muovono cifre importanti, soprattutto verso l'Europa. 

Ciò che è certo è che la Germania non starà a guardare e Trump ha bisogno di una risposta forte per al suo elettorato.